L’effetto donna e l’onda di un Partito che parla oltre sè stesso

Annalisa Cuzzocrea La Stampa 27 febbraio 2023
Anche a sinistra è “Fattore Donna”
Il primo dato è la partecipazione. Portare a votare dopo due sconfitte clamorose, alle politiche e alle regionali, un milione di elettori, significa che il disincanto democratico non è un destino. Che c’è chi nel centrosinistra e nel Paese cerca disperatamente un’alternativa al governo delle destre.

E che soprattutto la cerca ancora, nonostante gli errori i tradimenti e i disastri, nel Partito democratico.

Il Pd non era morto o moribondo, non deve cambiare nome, ragion d’essere o valori. Deve semplicemente ritrovarsi e riconnettersi con un popolo. Che non sarà compatto come cinquant’anni fa, sarà sperso in mille rivoli senza rappresentanza, ma è quello dei progressisti nel mondo: i più fragili, i meno garantiti, i più poveri, i più emarginati. Così è lì che è andata a bussare Elly Schlein.

Porta a porta, con lo zainetto, come aveva promesso. Le hanno ritagliato addosso l’immagine della privilegiata, borghese, incapace di capire dov’è la sofferenza e cos’è il disagio. Diranno ora: ha vinto soprattutto nei grandi centri urbani, non parla alle periferie. Come se il voto fosse leggibile solo attraverso i codici postali.

Diranno poi: eh certo, è donna, ma vedete quanti uomini ha dietro, le correnti, i capi occulti. E ci sono davvero, accanto, Franceschini Orlando Zingaretti. Più giovane, e dal primo momento, Provenzano. Nessuno però è apparso – neanche per un momento e per la prima volta nel Pd – stare sopra, come un padrino. O dietro a una pesante tenda rossa a muovere i fili, come un burattinaio.

Sono le istanze che contano allora mettiamole in fila: Schlein ha detto no con nettezza alle politiche migratorie attuate anche dal Partito democratico con l’ormai famigerato accordo con la Guardia costiera libica. Sulle migrazioni in Parlamento europeo ha fatto più di una battaglia. Che la sua vittoria arrivi in un giorno di lutto come questo, con il nostro mare che restituisce i corpi di bambini afghani, iraniani, iracheni, siriani, rende il quadro delle primarie pd ancora più chiaro.

E’ stato un voto per cambiare tutto. Come sul lavoro, perché chiede con nettezza la riduzione di quello precario. Non dice: paghiamolo meglio. Dice: ostacoliamolo, facciamo come in Spagna, sennò avanti non si va. Perché la linea di faglia che separata garantiti da non garantiti è sempre più larga, incolmabile, ingiusta.

E ancora sui diritti, Schlein ha detto: basta con questa storia che parlare dei diritti civili significa disinteressarsi di quelli sociali. Devono e possono andare insieme. Come la tutela dell’ambiente, che deve farsi carico anche della questione sociale. Non può essere fatta a discapito di chi ha meno e meno può permettersi, ma resta ineludibile.

Quindi sì, il voto delle primarie ha sovvertito quello dei circoli, degli iscritti. Nei circoli però hanno votato in 150mila e ieri un milione. Hai voglia a dire allarghiamo, apriamo le porte, se non ti prendi esattamente questo rischio: che il tuo elettorato potenziale indichi una strada diversa da quella del tuo nocciolo duro.

Che sia meno spaventato e ti porti a un azzardo, che ti chieda di trasformarti davvero, di saltare più lungo. Portando alla guida una donna per la prima volta nel campo progressista e questo, il fattore D, ha pesato molto di più di quanto molti avevano previsto.

Perché soprattutto a sinistra le donne le abbiamo viste sempre in lotta tra loro e sempre per un posto da comprimarie con un uomo davanti a dire “prego, siediti qui, l’ho tenuto per te”. E invece ieri molte di coloro che sono andate a votare hanno pensato: stavolta tocca davvero a una di noi e lo ha deciso lei, senza chiedere il permesso.

Tutto questo, anche questo successo da molti inaspettato, comporta dei rischi. Il primo è l’illusione del massimalismo: Schlein ha vinto con idee più a sinistra, più radicali, sulle risposte da dare a fenomeni che sono globali. Ma se vuole guidare il Pd e non un movimento fluido che rischia di sparire com’è apparso, deve tenere conto delle idee di tutti gli altri.

Di Stefano Bonaccini e di chi ha votato per lui. Di Gianni Cuperlo, di Paola De Micheli, perfino di Lorenzo Guerini. Può dialogare meglio di tutti con il mondo pacifista, ma non sconfessare la posizione tenuta sull’aggressione russa in Ucraina: si aiuta l’aggredito fino alla fine, finché le bombe cadranno sulle sue case, finché il martirio sarà quello del suo popolo. Si cerca una via negoziale, ma non si abbandona chi la guerra la sta subendo da oltre un anno e neanche per un istante l’ha scelta.

“Se ci fosse una scissione sarebbe una sciagura, ma non per il Pd, per la democrazia”, ha detto ieri Achille Occhetto. L’ultimo segretario del Pci sa di cosa parla. La tentazione di una vocazione minoritaria del nuovo Pd, una volta abbandonato il governismo, non va superata pensando ad alleanze o nuove geometrie.

Ma facendo sintesi di tutto quel che da questo congresso è arrivato e scegliendo, finalmente, un manifesto nuovo. Con l’ambizione di tenere dentro tutti, di ripartire insieme. Qualsiasi altra ipotesi, dalla guerra civile interna permanente all’ennesima scissione, decreterebbe una scomparsa e un’irrilevanza finora scongiurate. Serve saggezza tanto nella vittoria quanto nella sconfitta. Il banco non è un pezzo di potere, è una comunità di destini.

 

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