Stefano Cappellini La Repubblica 27 febbraio 2023
L’anno zero dei dem guerra, lavoro, unità le prime sfide della leader
Schlein ha risvegliato entusiasmo: ora dovrà dimostrare di non saper guardare solo a sinistra. Sulle alleanze il compito più difficile
Si abusa spesso in politica dell’espressione “anno zero”, stavolta però per il Pd è davvero quella più azzeccata. La vittoria di Elly Schlein, sorprendente ma non imprevedibile, apre una stagione nuova e ricca di potenzialità come di grandi incognite e ostacoli.
Per Schlein, che si è iscritta al Pd alla vigilia del congresso, la prima missione è interna: ha vinto contro il parere degli altri iscritti, nulla di irregolare, queste sono le regole delle primarie, ma è chiaro che dovrà dimostrare che non è una papessa straniera, che la sua non è una scalata dall’esterno, perché quei tesserati che hanno scelto in maggioranza Stefano Bonaccini sono rappresentativi anche di una quota di elettorato dem che non ha votato alle primarie (e che probabilmente è quella che ha ingannato i sondaggisti). Non solo: l’affluenza ai gazebo è stata la più bassa di sempre e l’esito è comunque un elettorato diviso a metà tra i candidati.
Schlein ha un grande e innegabile merito. Ha risvegliato un entusiasmo che mancava da tempo, ha mobilitato cittadine e cittadini che si erano disamorati, che avevano scelto altri partiti o che erano rimasti a casa il giorno delle elezioni. Questo è apparso subito evidente a chi ha seguito la sua campagna elettorale e ha potuto paragonarla a quella di Bonaccini.
È una grande base di partenza, a patto di essere consapevole che si tratta solo di una premessa, il trailer di un film tutto da girare e di cui ancora mancano sceneggiatura e interpreti. Le qualità che sono giovate aSchlein per vincere le primarie non sono le stesse necessarie per guidare la principale forza del centrosinistra, e tanto meno quelle necessarie per vincere le politiche. Se tutti i guai del Pd fossero spiegabili solo con un deficit di politiche di sinistra, sarebbe molto più semplice rimediare e probabilmente Nicola Fratoianni non sarebbe inchiodato da anni all’1,5 per cento.
Tenere unito il Pd, dunque. Schlein dovrà trasmettere il messaggio che la sua fiera connotazione di sinistra senza compromessi, decisiva per prevalere su Bonaccini e riportare all’impegno tanti delusi, non è la rinuncia a un partito largo e plurale e che la radicalità della nuova leadership non è incompatibile con l’ambizione di estendere il consenso anche in direzioni diverse. L’unità del partito non è un concetto astratto.
Le materie sono molto concrete. In politica estera il Pd di Schlein sarà tentato di seguire la linea del M5S sull’Ucraina? Il dubbio è legittimo perché, sebbene Schlein abbia confermato il sostegno anche militare all’Ucraina, è apparsa tentata dalla linea dello stop alle forniture in nome della fin qui fantomatica soluzione diplomatica del conflitto. Le politiche del lavoro sono uno dei campi su cui più forte è emersa la differenza con Bonaccini. Le ricette di Schlein contro il lavoro precario sono molto nette.
Dare dignità a tutti lavori e ai salari è un obiettivo prioritario di una forza di sinistra, pensare di riuscirci abolendo la complessità del mercato del lavoro come il M5S intendeva abolita la povertà significa partire con l’handicap.
Servirà una squadra all’altezza per trasformare gli slogan in proposte che sappiano parlare a mondi diversi, perché se il Pd ambisce a essere il partito del lavoro deve avere però chiaro che il lavoro novecentesco, blocco monolitico e roccaforte del vecchio consenso socialdemocratico, non esiste più: esistono i lavori, diversificati, parcellizzati, ognuno con esigenze e priorità diverse.
La semplificazione ideologica non aiuta a rappresentarli e raccoglierne il consenso. Anche le sacrosante battaglie sul clima vanno declinate insieme al principio di realtà, agli interessi nazionali, senza cedimenti alle seduzioni della decrescita.
Poi c’è il capitolo più delicato: le alleanze. Qui Schlein ha un compito difficilissimo. Per battere la destra servirà una coalizione ampia ma credibile. I due aggettivi rischiano di fare a pugni e questa non è certo una colpa di Schlein. Non a caso ieri il primo commento sul risultato delle primarie, a spoglio ancora in corso, è stato un pizzino maligno di Maria Elena Boschi: «Si apre una stagione interessante per i riformisti», ha detto l’ex ministra di Italia viva. L’idea che la nuova leadership possa schiacciarsi sull’intesa con il Movimento 5 Stelle è molto diffusa e, se si rivelasse vera, sarebbe rischiosa per più ragioni, non ultima la totale inaffidabilità dimostrata dal M5S anche sotto la guida di Giuseppe Conte.
A Schlein sarà chiesto di andare oltre i pregiudizi e saper aggregare con la forza della politica anche quei mondi che oggi guardano con favore alla sua elezione non perché attratti dall’idea di un’alleanza, ma perché speranzosi di guadagnare spazio e mercato elettorale a scapito dei dem. Ridare forza al Pd non basta se nel gioco delle coalizioni la destra resta dominante.