Scontro Pignatone-Capaldo, i retroscena della trattativa per restituire il corpo di Emanuela

Fabrizio Peronaci Corriere della Sera 7 marzo 2023
Il caso Orlandi e lo scontro Pignatone-Capaldo: ecco i retroscena della trattativa «per restituire il corpo di Emanuela»
Nel 2012 da Piazzale Clodio filtrò una frase («qualcuno in Vaticano sa la verità»), che suscitò l’ira del procuratore. Lo “scambio” (mancato) tra la rimozione della salma di De Pedis e il recupero dei resti di Emanuela

«Anni fa ci fu una trattativa tra Vaticano e Procura di Roma per la restituzione del corpo di mia sorella…» Sorpresa. Sgomento tra i telespettatori, molti dei quali devono aver pensato: «Ma se qualcuno dice di poter consegnare il cadavere, vuol dire che la ragazza è morta! E come? Quando? La notizia allora è questa! Non si è mai saputo…» Nel mistero infinito di Emanuela Orlandi, tornato d’attualità con la recente apertura di un’inchiesta da parte della Santa Sede, è stato il fratello della quindicenne scomparsa nel giugno 1983 a mettere in luce un paradosso.

Pietro Orlandi (nella puntata della settimana scorsa di DiMartedì, su La7) ha riferito che «pochi anni fa» l’allora procuratore aggiunto e titolare delle indagini, Giancarlo Capaldo, incontrò il comandante della Gendarmeria, Domenico Giani, il quale gli avrebbe proposto “uno scambio”: la restituzione della salma di Emanuela per ottenere “un aiuto” dalla Procura a togliere i resti del boss della Magliana, Enrico De Pedis, dalla basilica di Sant’Apollinare, liberando così la Chiesa da una fonte di «grande imbarazzo».

Possibile? La fine è nota ma nessuno se ne era accorto? Mentre tutti da decenni si arrovellano sulla sorte toccata alla “ragazza con la fascetta”, qualcuno se ne è rimasto acquattato essendo addirittura a conoscenza del luogo in cui sarebbe stato occultato il corpo? Alla luce della gravità (e della rilevanza come notitia criminis) di tali voci, l’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, è intervenuto poche ore dopo le affermazioni televisive di Pietro Orlandi (che nel frattempo non era stato smentito da coloro che aveva chiamato in causa) per chiarire di non aver «mai saputo nulla delle asserite interlocuzioni del dr. Capaldo con “emissari” del Vaticano», aggiungendo che lo stesso Capaldo, gerarchicamente a lui subordinato, «avrebbe dovuto» informarlo, tanto più che egli stesso gli aveva chiesto di essere tenuto «dettagliatamente» al corrente delle novità. Un vecchio scontro tra toghe è riaffiorato, insomma.

Il capo contro il suo vice, che si ritrovò “sollevato” dall’oggi al domani da una delle inchieste più delicate del dopoguerra. Retroscena importanti, oltretutto, perché la pubblica lite precedette l’archiviazione del fascicolo Orlandi nel 2015. Una vicenda che adesso il Corriere è in grado di ricostruire, passo dopo passo.

L’indiscrezione da Piazzale Clodio: il Vaticano sa
Il primo elemento da chiarire è temporale: quando si sarebbe svolta l’opaca e per certi versi incredibile trattativa attorno a due corpi, l’uno da restituire e l’altro da estumulare? Pietro Orlandi, in tv, ha parlato di “pochi anni fa”, ma in realtà il redde rationen Pignatone-Capaldo risale a oltre un decennio fa. Lo scontro ai vertici di Piazzale Clodio deflagrò infatti il 2 aprile 2012, in seguito a un servizio dell’Ansa diffuso alle ore 17,17. Titolo: «Orlandi: pm Roma, verità su ragazza in Vaticano». Prima riga: «La verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi sarebbe a conoscenza di personalità del Vaticano…” Una bomba. L’affermazione veniva attribuita a generiche fonti “inquirenti”, ma l’autorevolezza dell’agenzia metteva al riparo da forzature o abbagli: la deduzione immediata di cronisti e osservatori fu che evidentemente almeno un magistrato contattato dall’Ansa si era lasciato andare off the records, dicendosi certo che nella Santa Sede ci fossero state omertà da parte di qualcuno che continuava a tacere dopo 40 anni dai fatti, pur sapendo cosa fosse accaduto alla figlia del messo pontificio. Tutti pensarono a lui: Capaldo. E in effetti in alcune successive esternazioni televisive sarà lui stesso, ormai da ex magistrato (essendo andato nel frattempo in pensione), a confermare di aver avuto un incontro con due alte personalità.

Le polemica sull’«indegna sepoltura»
Ma non basta. Restando a quel 2 aprile 2012, va segnalato che il secondo lancio Ansa, alle 17,31, aveva dato un ulteriore dispiacere Oltretevere: «Per gli inquirenti è certo che nella vicenda ebbero un ruolo alcuni esponenti della banda della Magliana, forse già nel rapimento della ragazza, il 22 giugno 1983, ma più probabilmente nella gestione successiva…” Malavita e tonache in qualche modo complici, dunque. Un legame reso evidente, proprio in quelle settimane del 2012, dalle manifestazioni organizzate da Pietro Orlandi davanti alla basilica di Sant’Apollinare dove, nel 1990, era stato sepolto, grazie ai buoni uffici del rettore Pietro Vergari e al nulla osta del cardinale vicario Ugo Poletti, il boss della Magliana Enrico De Pedis, detto “Renatino”.

La reazione del Procuratore
La tensione 11 anni fa era ai massimi livelli, insomma. Durante i sit-in organizzati dal fratello di Emanuela, la Santa Sede aveva addirittura inviato agenti dei servizi segreti interni, armati di teleobiettivo, per fotografare i presenti. D’altra parte, non era mai successo: per quanto di pista interna si fosse ripetutamente parlato sia per l’attentato a papa Wojtyla (maggio 1981) sia per il sequestro di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori (maggio e giugno 1983), mai si era consumato uno “strappo” di tale rilievo, tale da poter incrinare i rapporti tra Italia e Città del Vaticano. Mai singoli magistrati avevano “spifferato” ai cronisti le loro convinzioni, violando platealmente il segreto istruttorio. E infatti la reazione del capo – rapida come lo è stata quella della settimana scorsa – era arrivata. Il giorno seguente Giuseppe Pignatone aveva rimesso le cose a posto. Alle 13.20 del 3 aprile 2012 era infatti andata in rete una notizia Ansa dal titolo: «Orlandi: indagine sarà coordinata da procuratore capo Roma». Il classico pugno sul tavolo. Prima riga: «Pignatone, indiscrezioni ieri non esprimono posizione ufficio». E ancora, nel testo, concetto rafforzato e ripetuto: «Le dichiarazioni e le valutazioni sul procedimento per la scomparsa della Orlandi attribuite da alcuni organi di informazione ad anonimi inquirenti della Procura di Roma non esprimono la posizione dell’ufficio». Il risultato immediato, più che la conoscenza della fine fatta dalle spoglie di Emanuela, riguardò l’«indegna sepoltura» del boss: dopo poco più di un mese, il 13 maggio 2012, sotto un enorme clamore mediatico, la salma di De Pedis fu traslata da Sant’Apollinare, spostata a Prima Porta e infine cremata per volere della moglie, Carla Di Giovanni.

L’inchiesta verso l’archiviazione
La svolta, quindi, riguardò solo uno dei due corpi oggetto della sbandierata “trattativa”. E soprattutto si realizzò per effetto di uno scontro senza precedenti ai vertici del più importante ufficio giudiziario italiano, su un cold case da sempre caratterizzato da ombre e verità inconfessabili. Il cambio di linea nelle indagini sulla scomparsa di Emanuela, in quel 2012, fu in effetti radicale, anche se Capaldo formalmente continuò a lavorare e svolgere interrogatori, in contatto costante con il capo. La sorte dell’inchiesta-bis Orlandi-Gregori (dopo quella del periodo 1983-1997) era tuttavia segnata. Nel 2013-2014 – liquidato come “inattendibile” il reo confesso Marco Accetti (nonostante l’uomo avesse consegnato il flauto riconosciuto dalla famiglia come quello della ragazza e dato più prove della sua presenza sulla scena), scartata l’audizione di altri testimoni, sorvolato sulle perizie foniche, ritenuta irrilevante una telefonata tra don Vergari e la vedova De Pedis nella quale quest’ultima definiva l’alto magistrato «Pignatone nostro» (stessa frase ripetuta l’altro giorno da Pietro Orlandi in tv) – l’inchiesta finì su un binario morto. Esautorato il procuratore aggiunto Capaldo, la richiesta di archiviazione sollecitata e vistata da Pignatone (senza la firma di Capaldo) giunse nel maggio 2015, seguita dal rapido accoglimento (ottobre dello stesso anno) del gip Giovanni Giorgianni e dal sigillo della Cassazione nel maggio 2016.

Capaldo scrittore, Pignatone in Vaticano
Finale di partita. Giallo nel cassetto. Riassumendo: 11 anni fa era venuto alla luce il dissidio ai vertici della Procura romana e oggi Pietro Orlandi va oltre: fornisce anche i contenuti di quei colloqui tanto controversi tra Capaldo e il comandante Giani, rendendo pubblica la “trattativa” e la proposta di “scambio”. La sua fonte è il magistrato-scrittore? In ogni caso, a indagini archiviate, fu il momento del congedo e dei saluti ai colleghi di Piazzale Clodio. Capaldo, dopo il suo pensionamento dalla magistratura italiana nel marzo 2017, decise di scrivere un libro sul caso Orlandi (restando però cauto, solo nomi di fantasia) e accettò diverse comparsate televisive in cui parlò – tra molte esitazioni – della vecchia e indimenticata (soprattutto da Pietro Orlandi) “trattativa”. Da parte sua Pignatone, anche lui nel frattempo giunto all’età della quiescenza, si prese alcuni mesi di pausa ma tornò presto in pista, da magistrato, nello Stato confinante: la sua nomina a presidente del Tribunale vaticano, di cui diede notizia ufficiale il Bollettino della Santa Sede, fu firmata personalmente da papa Francesco e risale al 3 ottobre 2019. Siamo all’oggi, alle nuove polemiche e alle novità che via via continuano ad affiorare.

L’inchiesta collegata su Katy
L’affaire Orlandi è sempre di attualità, anche perché nel frattempo la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta parallela, con il pm Erminio Amelio, sul giallo collegato di Katy Skerl, dopo la scoperta (nell’estate 2022) del furto della bara della 17enne (uccisa a Grottaferrata nel 1984). Al centro delle indagini è tornato lui, “l’uomo del flauto”, quel Marco Accetti che si è dimostrato informato non solo sulla Orlandi, sulla Mirella Gregori, sulla Skerl, ma che fu protagonista diretto dei fatti (c’era lui al volante del furgone) nell’investimento mortale del piccolo Josè Garramon nella pineta di Castel Fusano (dicembre 1983). Misteri mai risolti, depistaggi, reticenze. Scontri nelle istituzioni e speranze di giustizia. Va avanti così dal secolo scorso: il prossimo 22 giugno saranno 40 anni dal mancato ritorno a casa di quella ragazzina dal viso pulito e tanti la stanno ancora aspettando. (fperonaci@rcs.it)

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.