Sul dossier migranti dialogo diretto con Bruxelles non con Piantedosi

Francesco Verderami Corriere della Sera 7 marzo 2023
Così Meloni ha «sfilato» il dossier migranti a Piantedosi: con Bruxelles dialogo diretto
La risposta arrivata da von der Leyen viene considerata «molto positiva». La richiesta di più sinergia e meno esposizione e il segnale a Salvini

Un premier ha molti modi per intervenire senza toccare gli equilibri del governo e senza sconfessare formalmente un ministro. Sul «caso Piantedosi», Meloni ha scelto la strada europea per avocare di fatto il dossier immigrazione, su cui d’altronde Palazzo Chigi vanta delle competenze. E il carteggio con le istituzioni di Bruxelles dopo la tragedia di Cutro è funzionale all’obiettivo.

La risposta arrivata ieri dalla von der Leyen — a fronte delle sollecitazioni italiane sull’emergenza migranti — viene considerata «molto positiva» da fonti qualificate del governo, perché «vengono riconosciute le ragioni esposte dalla presidente del Consiglio». Che in Europa come in Italia mira a muoversi su undoppio binario : rafforzare il contrasto all’immigrazione clandestina e allo stesso tempo garantire una maggiore flessibilità nella politica dei flussi.

Questo dialogo diretto tra Palazzo Chigi e la Commissione finisce in pratica per ridurre il ruolo di Piantedosi, al quale la premier chiede una «maggiore sinergia». Che nel lessico politico equivale a un ridimensionamento del titolare del Viminale ed è inoltre un segnale a Salvini , sponsor del ministro. Tutto ciò si traduce anche in una indiretta richiesta di maggiore coordinamento sul piano della comunicazione e di minore esposizione pubblica. «Chi guida gli Interni — ricorda non a caso un membro anziano del governo — di solito rilascia due interviste l’anno». Ed è proprio per lesa verbosità che Piantedosi è finito al centro della polemica dopo il naufragio del barcone sulle coste calabre.

Nelle ore successive alla drammatica vicenda, il responsabile del Viminale si era mosso istituzionalmente in modo corretto, prima di lasciarsi andare a dichiarazioni che hanno messo in difficoltà Meloni. Perché a quel punto la tragedia è diventata un caso politico, che ha suscitato qualcosa in più di un’irritazione a palazzo Chigi. E ha prodotto forti tensioni con la Lega, che ha evidenziato alla premier il differente atteggiamento assunto con Piantedosi rispetto al caso «Delmastro-Donzelli»: mentre con i due esponenti di FdI Meloni si era subito esposta a loro difesa, nei riguardi del ministro dell’Interno — è stato rilevato da Salvini — è mancata una attestazione pubblica.

In attesa dell’indagine investigativa sul naufragio, che dovrà stabilire se e cosa eventualmente non ha funzionato nel dedalo di competenze tra strutture dello Stato, la premier si cura anzitutto di salvaguardare la stabilità del suo governo (che peraltro non è mai stata in dubbio) e in più centralizza la materia migratoria, adottando un escamotage politico che attraverso il passaggio in Europa finisce per aggirare l’Interno. Racconta uno dei più autorevoli ministri che su questo piano «c’è l’impronta di Mantovano», il sottosegretario alla Presidenza che «da palazzo Chigi sorveglia il Viminale», di cui «conosce ogni dinamica» dopo averlo frequentato ai tempi dei governi Berlusconi.

La via di Bruxelles scelta da Meloni per superare le difficoltà provocate dall’«eccesso di protagonismo» di Piantedosi è peraltro meno capziosa di quanto appaia. Anzi è «fondamentale», secondo un esponente dell’esecutivo: perché — questa è la spiegazione — il provvedimento che la premier sta preparando in vista del Consiglio dei ministri a Cutro, «delibererà misure di competenza statuale. Inefficaci senza una maggiore collegialità europea». Si vedrà quante delle parole rassicuranti scritte nella lettera da von der Leyen si tradurranno in fatti al prossimo Consiglio europeo. Ma non c’è dubbio che questa sia l’unica strada percorribile: un’azione combinata dell’Italia e dell’Unione, sollecitata ieri anche dal capo dello Stato.

Quanto agli sviluppi della polemica politica, si capirà dopo l’informativa di Piantedosi in Parlamento se Schlein andrà oltre la richiesta verbale di dimissioni del ministro. Manca infatti l’atto conseguente: la presentazione formale di una mozione di sfiducia. Se ancora non ha deciso è perché sono chiare le controindicazioni: la leader del Pd, alla sua prima uscita parlamentare, rischierebbe di spaccare il fronte delle opposizioni mentre compatterebbe la maggioranza.

Non è il passaggio alle Camere che preoccupa Meloni. E nemmeno l’attacco combinato delle forze di sinistra che criticano la sua decisione di convocare il Consiglio dei ministri a Cutro: «Se non ci vado mi dicono che sono insensibile, se ci vado con tutto il governo mi dicono che è un’operazione d’immagine». Niente di nuovo per chi fino all’altro ieri è stata opposizione.

 

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