Landini, c’è un vuoto, la politica non ascolta il lavoro, la scossa la diamo noi

Lucia Annunziata La Stampa 10 Luglio 2022
Maurizio Landini: “Io in campo ma senza un partito, non lascerò spazio alla destra”
Il leader Cgil: «C’è un vuoto politico, a settembre faremo mobilitazioni di tutti i tipi.
Draghi rimane autorevole ma non ci ascolta e non promuove le riforme sociali»
«Ma non ci penso proprio», ride col suo vocione Maurizio Landini, «sarebbe come dichiarare la chiusura della Cgil». Beh, si effettivamente, «se a dicembre al Congresso, che è il momento del nuovo mandato, il segretario lasciasse per gettarsi in politica sarebbe una dichiarazione di morte del sindacato».

 

Eppure, diamine, qualcuno deve pur star lì a chiedertelo, se è vero che tutta Roma ne parla. «Beh, effettivamente. Proprio stamattina a ora di pranzo mi sono fermato a piazza Barberini per mangiare qualcosa, insieme alla scorta. È venuto uno dei nostri, mi ha chiesto una foto e mentre andavamo via si è rivolto alla scorta e ha detto “curatelo bene questo, che nei prossimi mesi deve fare il Primo Ministro”». Altra smentita; ma conferma che la voce gira a turbina. Maurizio Landini potrebbe fare il partito del Lavoro.

In un panorama di scioglimento dei partiti, la voce si basa almeno su dei numeri – è alla fine l’unico che ha un serbatoio di voti cui attingere. E che voti! «Gli iscritti della Cgil sono 5 milioni, di cui il 51 per cento lavoratori dipendenti e 49 per cento pensionati. Il 17 per cento di quel 51 per cento ha meno di 35 anni», snocciola il segretario. D’altra parte, alla vigilia dell’incontro che i sindacati avranno a Chigi con il premier il 12, sotto la spinta emotiva dei dati Istat su un Italia al limite, è «consapevole delle difficoltà del prossimo futuro», ed è pronto «a scendere in campo per non lasciare il campo a nessuno». Il nessuno va letto come «destra».

Se di sicuro non pensa a fare un partito, e gli va creduto, l’uomo non è uno stupido, però non si sottrae al dire che questo è un sindacato che si colloca già su mobilitazioni politiche: «già a dicembre dell’anno scorso noi e la Uil abbiamo fatto uno sciopero generale».

Potremmo chiamarla, insomma, una svolta sottotraccia del sindacato. E se dovessimo trovare un punto in cui il segretario ha dato un segnale esterno in questo senso, basta ritornare a un mesetto fa. A una riunione che si è tenuta nel suo ufficio in Cgil.

Stanza al terzo piano, ariosa e tranquilla, non raggiunta dalla folla distruttrice che prese d’assalto la Cgil, con finestre aperte sul polmone di Roma, Villa Borghese. La riunione con un gruppo di consulenti doveva decidere come impostare l’evento di lancio del congresso della Cgil che si terrà a dicembre.

Da una borsa dei presenti esce la solita cartellina con tre fogli – una rapida occhiata ed è chiaro che la scaletta è sempre la stessa. Interventi vari, comizio finale del Segretario, insomma il solito incontro in sindacalese. Il segretario fa qualche domanda, guarda i consulenti, rifà qualche domanda e poi chiede «ma per voi va bene?». I consulenti dicono sì, ma senza impegnarsi. Il segretario scalpita. «Ma a questo incontro vengono tutti?», chiede, e la situazione svolta.

Qualcosa c’è lì che sveglia un po’ tutti – otto leader del centro e della sinistra hanno risposto all’invito di Landini che intende «chiedergli che ricette hanno in testa per affrontare la situazione». Si appassiona il segretario. «Non è un modo per coprire i nostri problemi, è il contrario. Anche noi abbiamo un grave problema di rappresentanza, il mondo operaio è frantumato, non siamo certo quel che eravamo. Ma se guardo ai partiti stanno come noi se non peggio», dice a questo punto col suo vocione di quando è entusiasmato, «mettiamoli al centro della sala, e chiediamoglielo, visto che hanno già accettato il nostro invito». «Ma vuoi solo quelli di centro e sinistra?» dice uno dei suoi con cautela. «Ah, certo. Io ho inviato a tutti i segretari di tutti i partiti il nostro documento congressuale, anche ai leader del centro destra, ma qui mi sembra logico che siedano solo i moderati e la sinistra». E così sia: una normale quasi-conferenza stampa per avviare il congresso, dopo un dieci minuti ha girato ed è diventata un nuovo format, dal titolo extrasindacalese: «Il lavoro interroga».

Un mese dopo, nel palazzo vittoriano sede a Roma della Casa dell’Architettura, nel talk più singolare della stagione politica, otto leader – nell’ordine: Letta, Conte, Elly Schlein, Rosato, Speranza, Fratoianni, Calenda, e Acerbo del Partito della rifondazione comunista – a semicerchio davanti al segretario della Cgil, che gli chiede come sparo di partenza: «Noi abbiamo problemi con il consenso, ma tutto avrei immaginato meno che dopo la tornata elettorale stiate discutendo di cosa hanno votato quelli che sono andati alle urne, invece che discutere di perché due su tre italiani non ci sono andati».

Nello stordimento della calura, persino i giornalisti afferrano che qualcosa sta succedendo – che la messa cantata solita sindacale non c’è. I leader politici ci stanno: Letta parte tranquillo, alla fine del suo intervento ha già capito il cambio di tono; Conte ci dà dentro con la piattaforma sociale, dicendo che quella dei 5Stelle è come quella della Cgil; Schlein parla di diritti; Rosato difende il Jobs Act ma senza acredine, Speranza si muove in casa, e Calenda è il più divertito, prigioniero com’è fra Fratojanni e il comunista Acerbo, e come ringraziamento per l’invito solleva subito il voto in Europa sulla tassonomia verde che include il nucleare. (Il format va così bene che sarà ripetuto con altri soggetti politici convocati).

Ma se non c’è nulla di fondato nelle voci, perché, segretario, se ne parla tanto? «C’è un vuoto politico, una rottura fra lavoro e politica, ed è la prima volta, se ci si pensa. In Parlamento c’è sempre stata una rappresentanza anche del lavoro. Il nostro mondo ha bisogno di una rappresentanza, è chiaro. Del resto questa rottura è il tema del nostro Congresso». Nemmeno il Pd è dunque un ancoraggio sicuro? «Non è questo. Il tema ora sono le scelte. Se la guerra non si ferma entro l’anno andiamo incontro a una esplosione. Le scelte si devono fare ora, e sono tutte dentro la politica».

Questa del pesare in politica (più che farla) è in realtà il vero punto dolente di Landini. Coltiva da mesi il senso che il sindacato sia messo da parte, che non sia coinvolto in nessuna sede, e nemmeno rispettato. Discorso delicato che più che ai partiti porta dritto a Chigi e che bisogna seguire con una certa cautela. I 5 stelle sono in questo senso un buon punto di avvio.

I 5Stelle davvero hanno una piattaforma molto vicina a quella della Cgil: dal potenziale della loro crisi potrebbe emergere un reindirizzo di voti comuni? «Non ho molta consuetudine con i 5s, ma certo all’epoca di Conte abbiamo lavorato molto bene– lui ha fatto una serie di cose, come il blocco dei licenziamenti e varie misure sociali che si muovevano nella nostra direzione. Ma il cambio di governo ha cambiato tutto. Quello attuale non ci ascolta».

Gli ricordo che però all’inizio lui è stato molto favorevole a Draghi. «Certo. Sono stato tra chi non voleva andare a votare, e ho visto con favore che venisse messo in pista un uomo della sua autorevolezza, che per altro regge ancora oggi. Ma contro di lui, nel dicembre 2021 abbiamo fatto con la Uil uno sciopero generale, tutto politico. Infatti, non sta producendo riforme, o almeno quelle che vogliamo noi, in chiave sociale; si muove anzi in senso inverso. E non ci ascolta. Mai coinvolti, al massimo informati». Questo è il punto «l’ultima volta che siamo stati convocati è stato il due maggio, ed ora il 12. Questo è quanto».

Farebbe bene dunque il M5s a uscire dal governo? «Secondo me se escono e rimangono da soli, si mettono a rischio. E non vedo come fanno a non rimanere soli. Però capisco anche che sono cotti a fuoco lento». Il sottotesto di questa affermazione è che il governo non riuscirà invece a cuocere lui: «A settembre metteremo in campo mobilitazioni di tutti i tipi. Non lo lascio il campo a qualcun altro». E il qualcun altro, sia chiaro, hanno un nome e cognome: «Giorgia Meloni, Matteo Salvini». Più politica di così.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.